Il fascino della lingua giapponese
La lingua giapponese è sicuramente una delle più interessanti e affascinanti del mondo. Il motivo è legato soprattutto all’influenza che la stessa cultura nipponica apporta e continua ad apportare anche alla lingua e alla scrittura. Molti decidono di iniziare a studiare la lingua giapponese perché attratti da manga, anime o arte giapponese. Andare alla scoperta di un modo di vivere e di parlare così diverso può far conoscere molto della nazione e della sua popolazione.
Dire “io” in ben 10 modi differenti
Nella lingua giapponese si dice che per saper parlare bene non serve conoscere i pronomi, visto che i registri di cortesia non li rende necessari. Parlando ad esempio del pronome personale “io”, normalmente utilizzato per parlare di se stessi, nella lingua giapponese bisogna andare con cautela. Altrimenti si rischia di far trapelare la voglia di catturare l’attenzione sull’individualità propria. Per questa ragione, nella lingua giapponese difficilmente si dirà “io”. Questo a meno che non sia strettamente necessario e, anche in quei casi, devono essere seguite delle regole ben precise. Il giapponese distingue tra il parlato dei maschi e quello delle femmine. Una donna dirà “atashi” per parlare di sé, mentre un uomo dirà “boku“. Oltre a questo, anche il contesto influenza l’uso di questo pronome. In diverse situazioni le donne possono usare solo il nome proprio al posto di “io”, mentre gli uomini diranno “jibun” (“se stesso”). Infine, i modi di riferirsi a sé sono accettabili solo in contesti informali, meno su quelli formali.
Una scrittura che nasce dal parlato
La lingua giapponese ha una tradizione che parte dal linguaggio orale. Nell’antichità, infatti, era esclusivamente parlata ed erano presenti tantissime forme dialettali. Poiché diventava sempre più impellente il bisogno di avere un codice scritto, circa 2000 anni fa, il giapponese è diventata una lingua fatta di simboli che potessero rappresentare i suoni emessi dal parlato. Spesso il giapponese viene erroneamente accostato al cinese, ma le due lingue hanno regole grammaticali molto diverse, oltre al fatto che in giapponese è possibile scrivere in orizzontale e verticale.
Un simbolo, tanti significati
A rendere il giapponese una delle lingue più difficili del mondo sono sicuramente i cosiddetti “kanji” e i due alfabeti fonetici “hiragana” e “katakana“. Se il numero di caratteri di questi ultimi due è piuttosto limitato, lo stesso non si può dire per i “kanji” dal momento che ne esistono oltre 10000. Delle parole con uno stesso suono possono avere significati molto diversi perché rappresentati da “kanji” differenti. Inoltre, è importante anche come i vocaboli vengono posizionati in una frase perché a seconda di dove si trova un carattere possono volersi dire cose diverse. Ecco spiegato il motivo perché esistono due modalità di lettura distinte: la “ON” e la “KUN“. Grazie ad esso i simboli assumono un significato ben preciso a seconda di dove si trovano. Infine, oltre alla posizione, è necessario prendere in considerazione anche il tono perché a seconda dell’intonazione anche il significato di un vocabolo può cambiare pur essendo indicato con il medesimo “kanji”.
Assenza del genere e del numero nella lingua giapponese
La lingua giapponese, rispetto a quelle occidentali, si comporta in maniera piuttosto vaga rispetto a genere e numero, tanto che sia sostantivi che aggettivi non ce l’hanno. Il motivo è spiegato dal fatto che non esiste la distinzione tra maschile e femminile e quindi tutto fosse “neutro”. Non si può sapere se la parola “sushi” sia maschile o femminile, né tanto meno se singolare o plurale e lo stesso vale anche per altre parole di origine giapponese e impiegate nel parlato quotidiano come “judo” o “karate”. In italiano si tende a dare un articolo contraddistinguendo le varie parole come maschili o femminili perché è la lingua che lo richiede seguendo le relative regole grammaticali. In giapponese, infatti, non esistono articoli proprio perché non esistono generi o numeri.